C’è un confine, nel calcio come in ogni sport, che non dovrebbe mai essere oltrepassato: quello tra agonismo e violenza. Quanto accaduto lo scorso 6 aprile durante la partita di Prima Categoria tra ASD Fossacesia 90 e ASD Città di Chieti è la dolorosa dimostrazione di quanto, a volte, quel confine venga ignorato con una leggerezza inaccettabile. Un episodio grave, che pone interrogativi urgenti sullo stato di salute di un sistema che, anche nei livelli dilettantistici, sembra aver smarrito la corretta direzione formativa e culturale.
IL GRAVE EPISODIO IN CAMPO
Secondo quanto riferito ufficialmente dalla società Fossacesia, nei minuti di recupero, a partita praticamente conclusa, un loro calciatore è stato vittima di una brutale aggressione. A palla lontana, un giocatore del Città di Chieti avrebbe colpito l’avversario con una testata al volto, seguita da un pugno. Le conseguenze sono state drammatiche: trauma facciale, frattura scomposta del setto nasale, intervento chirurgico e diversi punti di sutura. La gara, comprensibilmente, è stata sospesa per alcuni minuti per consentire i soccorsi.
Un gesto violento, non un fallo di gioco, non un momento concitato di partita, ma una vera e propria aggressione fisica. Al momento la società teatina non ha ancora dichiarato nulla sull’accaduto.

UNA RIFLESSIONE SUI VALORI DEL CALCIO
“In 35 anni di storia, l’ASD Fossacesia 90 – realtà solida e rispettata del calcio abruzzese – non aveva mai assistito a episodi di tale gravità”. E proprio da qui nasce l’amarezza, più profonda delle ferite fisiche riportate dal proprio tesserato: l’amarezza di chi vede calpestati in pochi minuti i valori fondanti dello sport. Rispetto, lealtà, etica. Parole che oggi rischiano di apparire vuote, se non supportate da comportamenti coerenti. Sarebbe un errore archiviare l’accaduto come un “incidente di campo”, una reazione spropositata dettata dalla foga del momento. Perché non si tratta solo di una partita: si tratta del messaggio che trasmettiamo a chi guarda, a chi cresce, a chi crede ancora che il calcio possa essere una palestra di vita.
E allora, serve una presa di coscienza collettiva. Serve che le istituzioni calcistiche intervengano con decisione, che le società si assumano le proprie responsabilità, che il rispetto torni al centro del gioco. Serve, in altre parole, curare un calcio che mostra chiari segni di malessere, che fatica sempre più a distinguere l’agonismo dalla prevaricazione, la competizione dalla barbarie.
La vicinanza al calciatore aggredito è d’obbligo, così come la reazione dei tesserati del Fossacesia per aver permesso al direttore di poter concludere la gara in una situazione potenzialmente esplosiva. Ma da soli non bastano, finché non ci sarà una risposta corale, decisa, inequivocabile, certi episodi continueranno a macchiare ciò che dovrebbe essere un simbolo di passione e appartenenza.
. Dennis Spinelli