A un non lancianese la Squilla non si spiega.
Si può solo provare a raccontarla, perché spiegare un sentimento è impossibile. Come l’amore.
Per tutti è una campanella.
Per un lancianese è molto di più: è un richiamo dell’anima, è memoria, è appartenenza. È qualcosa che non fa rumore, ma si infila dentro, ti prende allo stomaco e al cuore, e non ti molla più.

Lo diceva la poesia, e la poesia lo dice meglio di chiunque altro. Cesare Fagiani lo ha scritto con parole che non descrivono: suonano.
La Squijje di Natale dure n’ore eppure quanta bbene ti sumente! Te’ ’na vucetta fine, e gna li sente pure lu lancianese che sta fore!
Un’ora soltanto, eppure quanta vita ci mette dentro.
La sente anche chi è lontano, anche chi non vive più qui, perché quella voce è fine ma arriva ovunque. Ti vùsciche di botte entr’ a lu core nu monne ch’è passate, entr’ a la mente
ti squajje nu penzere malamente nche nu ndu-lin-da-lì che sa d’amore.
La Squilla ti scuote, ti svuscica dentro al cuore, ti riporta un mondo che è passato, ti scioglie un pensiero duro con un semplice ndu-lin-da-lì che sa d’amore.
Non è solo suono: è ricordo, è nostalgia, è identità.
Sembra una cosa qualunque. E invece no. Ve’ da ’na campanelle chiù cumune, eppure ti rifà gne nu quatrale, ti fa pregà’ di core, ’n ginucchiune.
Perché quella campanella ti rimette in ginocchio, ti fa pregare davvero, con il cuore.
Ed è così da più di cinquecento anni.
Ogni mattina, a Lanciano, la Squilla suona. Ma la sera del 23 dicembre è diversa. Dopo la processione che porta i lancianesi alla piccola icona della frazione Iconicella, dalle sei alle sette, la Campanella sulla Torre Civica suona, seguita da tante altre campane della città.
Un’ora intera. Un’ora che accompagna un cammino che una volta era di penitenza e perdono, e che oggi resta un cammino di pace e speranza.
Forse si sta perdendo. Forse no. Ma una cosa è certa: la Squilla è santa, la Squilla di Lanciano non si tocca. E quando i cari vengono a mancare, si va al cimitero, ad ascoltarla lo stesso, per ricordare ancora una volta che le tradizioni non sono folklore, ma radici.
Sono parte dell’identità di una popolazione. Mantenerle è sempre più difficile, ed è proprio per questo sempre più necessario: perché sanno insegnare ai nostri figli chi siamo, da dove veniamo, e perché certe cose non si dimenticano.
Ugne matine sone ma nen vale: la voce de lu ciele, pe’ ugnune, chi sa pecchè!… le te’ sole a Natale! Perché quella di Natale è diversa. È la voce de lu ciele.
E finché qualcuno, anche stando lontano, la sentirà tremare entr’a lu core, la Squilla continuerà a vivere.
Buona Squilla a tutti i lancianesi, pure a quelli che sta fore. Dalla redazione di Videocittà.






