Un cerchio in cemento, due mani rivolte con i palmi verso l’alto e delle lastre di plexigas: è dinanzi al monumento realizzato nel 2011 dal Comitato 10 Febbraio di Lanciano, che questa mattina, il sindaco Filippo Paolini e le associazioni d’arma e combattentistiche hanno celebrato il “Giorno del Ricordo” .
Un importante appuntamento dedicato alla memoria con cui l’Italia, su spinta del governo Berlusconi, dal 30 marzo 2004, commemora ufficialmente la tragedia che colpì sul finire della Seconda Guerra Mondiale gli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia vittima della violenza dei partigiani slavi del maresciallo Tito.
Una pagina questa, tra le più buie della nostra storia, che si concluse con l’esodo forzato di migliaia di cittadini costretti ad abbandonare le proprie terre e che poi sfociò in una vera e propria pulizia etnica con le «foibe» tipiche formazioni carsiche di quelle zone, che divennero la tomba in cui vennero barbaramente trucidati e gettati migliaia di donne, uomini, anziani e bambini, colpevoli solo di essere italiani.
Toccante è stata la testimonianza del signor Carlo Alberto Agostinis, ex funzionario della Asl che quelle tristi vicende, le ha vissute direttamente sulla sua pelle. Nato nel 1944 a Pisino, nell’allora Istria italiana, si ritrovò a causa del Trattato di Parigi firmato nel 1947 a dover fuggire dalla sua casa. Imbarcatosi con la sua famiglia partì dal porto di Pola giungendo a bordo della motonave “Toscana” prima a Trieste e poi ad Ortona. Da lì dopo un passaggio a Chieti e l’arrivo a Lanciano, dove risiedette per tanti anni nel quartiere Lancianovecchio.
Un emigrazione forzata, costretto a lasciare, come tanti, la propria casa ed un pezzo di vita al di là dell’Adriatico, tra la violenza dei partigiani del maresciallo jugoslavo Tito, ed il malcelato odio di tanti italiani che vedevano in quelle persone non connazionali da aiutare, ma fascisti da condannare senza esitazione davanti ad un fantomatico tribunale della storia.
La sua foto da bambino, seduto su un carretto dinanzi al porto di Trieste è una delle istantanee più iconiche quando si parla di foibe ed esuli. Apparsa negli anni ’50 tra le pagine del “Il Piccolo” è finita poi anche sulla copertina del libro pubblicato nel 2011 da Gianni Oliva ed edito dalla casa editrice Mondadori.
- Simone Cortese