Raccontare gli orrori della guerra, la repressione, l’internamento e le immani sofferenze della Shoah non è facile. Non lo è per noi che, a distanza di tanti anni cerchiamo di ricostruire e “ricordare” quegli anni bui vissuti dall’Europa, figuriamoci quanto impegnativo e sofferente lo sia stato per chi, da quella tragedia è stato investito in maniera diretta, vivendo quotidinamente sulla propria pelle le brutalità e le privazioni di una persecuzione sistematica e feroce.
Spesso però provare a narrare quei fatti, magari imprimendoli sulla carta con l’inchiostro, è un mezzo non solo per lasciare una testimonianza ai posteri, ma anche un modo per sentirsi “vivi” cercando di dare una sorta di normalità ad una vita e ad una reclusione che di ordinario non hanno davvero nulla. Se celebre e letto è il diario di Anna Frank, certamente meno conosciuto è quello di Maria Ludwika Eisenstein la cui vita si lega in parte con Lanciano, visto che per diversi anni fu reclusa nel campo d’internamento femminile di Villa Sorge.
Quello di Villa Sorge, oggi elegante villetta che sorge nel quartiere Cappuccini, fu uno campi di concentramento fascisti allestiti dal Ministero dell’Interno all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia di Mussolini ed attivo fino all’armistizio del settembre 1943. L’ebrea polacca Maria Ludwika Eisenstein, con il numero sei vi fu internata per sei mesi, dal luglio al dicembre 1940,insieme ad altre settantacinque persone tra donne e bambini.
Quello che all’apparenza è il semplice resoconto di una prigionieria è in realtà un qualcosa di molto complesso che va compreso in forma teatrale e drammaturgica, un testo sorprendente ricco anche d’ironia e satira tipiche della cultura yiddish ebraica che porta a sdrammatizzare anche situazioni molto serie e difficili come appunto sono le vicende legate alla Shoah.
Maria Ludwika Moldauer, ebrea polacca sposata in Eisenstein, era una donna di grande intelligenza e cultura: appassionata di arte, letteratura e teatro studiò a Firenze dove conseguì la laurea e successivamente si trasferì prima a Roma e poi negli Stati Uniti dove se ne persero le tracce. Le sue pagine, dopo ottantaquattro anni da quei fatti, rappresentano un inno alla libertà e contro ogni forma di oppressione.
La storia di Maria è stata riscoperta anche grazie alle ricerche del professor Gianni Orecchioni, presidente della Casa Editrice Carabba, che dopo un lungo lavoro storiografico e semantico si rivela in realtà come opera letteraria di tradizione teatrale che poggia sul “topos” del manoscritto ritrovato. Un lavoro quello del professore lancianese diventato il libro “Dietro il sipario: Maria Eisenstein è l’invenzione del diario”. Orecchioni già nel 2006 si era interessato a questa vicenda pubblicando il volume “I sassi e le ombre: Storie di internamento e di confino nell’Italia fascista. Lanciano 1940-1943” nel quale aveva cercato di fare una prima ricostruzione della storia del campo di concentramento fascista di Lanciano e della vita delle sue internate interessandosi, anzitutto, all’opera pubblicata di Maria Eisenstein.
.Simone Cortese