È di mercoledì la notizia che il Tribunale Civile dell’Aquila addossa alle 24 vittime morte sotto le macerie di un edificio in via Campo di Fossa il 6 aprile 2009 la colpa di non essere uscite di casa dopo la scossa del 5 aprile e quella del 6 poco dopo la mezzanotte.
Il Tribunale taglia il risarcimento ai parenti delle vittime. Vittime “incaute”, per citare la sentenza, e che avrebbero per questo il 30% di responsabilità.
Una notizia, apertura di telegiornali e prima pagina dei quotidiani, che a L’Aquila è stata accolta con gran rabbia. Una notizia che ha riportato la cittadinanza indietro di 13 anni. Una notizia che tutti commentano e che tutti, partiti politici, parenti delle vittime, cittadini e associazioni, commentano allo stesso modo. Le parole usate sono sempre le stesse, “rabbia”, “vergogna”, “sconcerto”, “sconforto”. Dalla città si leva un coro di indignazione.
E su social e piattaforme varie c’è chi scrive “secondo quanto deciso dal Tribunale, dopo oltre 13 anni si scopre che L’Aquila sarebbe stata piena di aspiranti suicidi”, “secondo quanto stabilisce la sentenza si potrebbe dedurre che le vittime abbiano deliberatamente scelto di perire sotto le macerie” e ancora “una sentenza figlia di una giustizia ingiusta”.
Ma la lista va avanti.
“La sentenza può essere letta nel seguente modo: fate come vi pare ma non fidatevi delle istituzioni”.
“Le stesse vittime sono state uccise un’altra volta”.
…
Una carrellata che potrebbe durare all’infinito e che, per questo, è necessario concludere con lo slogan che sembra essere diventato un po’ il simbolo del disdegno che molti, a L’Aquila, provano. “Anche io voglio il 30% di responsabilità”.
Beatrice Tomassi