Ottocento anni fa, Francesco d’Assisi, scalzo e vestito di stracci, compì un gesto che avrebbe segnato la storia. Si recò a piedi in Terra Santa, nel pieno delle crociate, quando l’Europa cristiana si muoveva armata fino ai denti per “liberare” il Santo Sepolcro. Le crociate furono nove, con il loro carico di barbarie e violenza, che ancora oggi restano una ferita aperta nella memoria collettiva.
Eppure Francesco, disarmato, chiese e ottenne di incontrare il sultano Saladino. Non portava armi, ma parole di pace. Non cercava conquista, ma dialogo.
E il sultano lo accolse non come un nemico, ma come un benefattore, riconoscendo in lui un uomo di Dio. Per un breve periodo la sua missione riuscì persino a fermare lo scontro, lasciando un segno profondo: ancora oggi, nel mondo musulmano, la figura del Poverello d’Assisi è stimata e rispettata.

Oggi, come da tradizione, la politica italiana — anche quella abruzzese — sarà presente ad Assisi per donare l’olio che illuminerà la tomba del Santo per un anno intero. Un gesto simbolico, di luce e memoria. Ma a questa luce, spesso, la politica contrappone parole e azioni che oscurano: offese, divisioni, atteggiamenti che nulla hanno a che vedere con lo spirito francescano.

E non solo la politica. Basta scorrere i commenti che accompagnano le cronache locali per imbattersi in frasi di odio, di razzismo, di disumanità. Spesso pronunciate da chi, la domenica, siede nelle prime file delle chiese.
La storia di San Francesco ci ricorda, invece, che non basta batterci il petto durante la messa.
Se la fede non si traduce in gesti di pace, di rispetto, di attenzione verso l’altro, rimane vuota liturgia. La sua lezione ci chiede coerenza: vivere nella quotidianità la stessa umanità che professiamo nei riti. In un tempo attraversato da nuove divisioni e nuove “crociate” — non più religiose, ma culturali e sociali — la voce di Francesco continua a interpellarci. Non come una reliquia da celebrare una volta all’anno, ma come un modello scomodo e radicale. Perché la pace, quella vera, non si costruisce con le armi né con le parole d’odio, ma con la scelta disarmata e coraggiosa di un uomo scalzo che seppe parlare al cuore di un sultano.