Andare al mare in Abruzzo è sempre più un lusso. E non lo dicono solo le famiglie che ogni anno si ritrovano a fare i conti con il portafoglio, ma anche i numeri: secondo l’Osservatorio nazionale di Federconsumatori, la nostra regione registra un incremento dei costi balneari del +3% rispetto al 2024, superando la media nazionale del +2,3%. Una cifra che può sembrare piccola solo sulla carta, ma che nella realtà pesa – eccome – sul bilancio di chi al mare ci va spesso, e non solo per una toccata e fuga.
Il paradosso? Aumentano i prezzi, ma non aumentano i servizi. O meglio, i servizi continuano ad arrivare in ritardo. E così mentre ombrelloni e lettini diventano sempre più cari, pedalò e canoe si affittano a costi gonfiati, e mangiare in uno stabilimento è diventato un salasso, ci si chiede: che cosa stiamo pagando, davvero?

La famiglia media abruzzese (e italiana) non ce la fa
Andare al mare dovrebbe essere un piacere semplice, una pausa dalla fatica quotidiana. Ma oggi, soprattutto per i turisti locali, quelli che il mare lo vivono da giugno a settembre, è diventata una voce da pianificare nel budget familiare.
Altro che ferie: una giornata in spiaggia costa quanto una gita fuori porta. E non riguarda solo le famiglie monoreddito: anche laddove si lavora in due, far quadrare i conti diventa complicato. Perché a fronte di stipendi fermi e contratti sempre più precari, ogni estate è l’estate degli aumenti.
Allora non resta che attrezzarsi: borse frigo da casa, insalate di pasta e riso preparate la sera prima, thermos di caffè e panini impacchettati al volo. Perché pranzare allo stabilimento significa spesso spendere anche 100 euro in quattro, anche solo per un piatto veloce e una bibita.
Aumenti senza giustificazioni
C’è qualcosa che stride. Perché se è vero che le materie prime costano di più, che la stagione è breve e che gestire una struttura comporta spese, è altrettanto vero che gli aumenti spesso sembrano scollegati dalla qualità del servizio offerto. Bagni non sempre puliti, personale stagionale sottodimensionato, assenza di veri servizi aggiuntivi: chi alza i prezzi dovrebbe almeno interrogarsi su cosa offre in cambio.
E invece, come ogni estate, si assiste allo stesso copione: rincari “automatici”, motivati da una presunta inflazione del settore turistico che però non tiene conto della situazione reale di chi vive e lavora in Abruzzo. Dove la disoccupazione giovanile è alta, i contratti a tempo determinato abbondano, e le famiglie fanno i salti mortali per arrivare a fine mese.
Il rischio: turisti di passaggio, non di ritorno
Il turista arriva, ed è arrivato numeroso, soprattutto dopo la grande vetrina mondiale del Giro d’Italia. Ma se questi sono i prezzi e questi i servizi, difficilmente tornerà. E questo è un vero peccato. Perché le iniziative imprenditoriali non mancano, e c’è chi si impegna davvero per offrire qualcosa di meglio, con passione e spirito innovativo. Ma sono ancora troppo pochi. E senza una visione d’insieme, senza un cambio di rotta condiviso, rischiamo di bruciare un’occasione irripetibile.
Serve un cambio di passo
Chi gestisce stabilimenti dovrebbe capire che non si può pensare solo al turista “da week-end” o a quello che arriva da fuori regione. Perché l’anima vera delle nostre spiagge sono i residenti, le famiglie abruzzesi, le comitive di amici che scelgono il mare sotto casa. Sono loro che popolano gli ombrelloni per tre, quattro mesi. Sono loro che oggi si sentono, a ragione, esclusi da un’offerta sempre più cara e sempre meno equa.
Prezzi giusti, servizi veri e attenzione al contesto economico locale: è questa la rotta da seguire. Perché il mare deve restare un diritto, non un privilegio.