Cesare Fagiani (1889-1959), giornalista, poeta e scrittore di Lanciano, è noto per le sue opere in dialetto abruzzese che celebrano la vita e le tradizioni della sua terra. Oltre alla poesia, si dedicò alla scrittura di saggi e articoli di critica d’arte, svolgendo un ruolo fondamentale nella vita culturale e intellettuale dell’Abruzzo.
Il suo lavoro mirava a preservare il dialetto e la cultura popolare, partecipando attivamente anche alla vita politica della sua città.

Nella sua poesia dialettale, Fagiani dipinge un quadro affettuoso e vivido della sua città natale, Lanciano, che celebra la sua storia e le sue tradizioni. Attraverso versi che vibrano di amore e appartenenza, egli ci conduce nei luoghi più caratteristici e nelle atmosfere che definiscono l’identità del paese, rendendolo un simbolo di continuità e bellezza.

Nel primo stralcio, Fagiani descrive la città in modo quasi poetico-geografico, evocando immagini di paesaggi montuosi e marini che si incontrano:
“Bande e campane! ecche Lanciane: sopra tre còlle tra sole e stelle nche la Maielle quasi vicine e nu strapizze all’atru pizze fatte di mare.”
Lanciano è presentata come una città sospesa tra la terra e il cielo, tra il sole e le stelle, con le montagne della Maiella che si stagliano vicine e lo sguardo rivolto verso il mare. Questo richiamo al paesaggio sottolinea il legame profondo tra la città e la natura circostante.

Poi, l’autore esprime il suo affetto più intimo per la città:
“Ecche ‘sta care Lanciana mè proprie addò sta.”
In poche parole, Fagiani cattura l’essenza del suo legame con Lanciano, descrivendola come “cara”, amata e profondamente radicata nel suo cuore. La città non è solo un luogo fisico, ma un’ancora di stabilità e appartenenza.
Continuando, la poesia si fa ancora più dettagliata nel descrivere la vita quotidiana della città e la sua gente:
“Bomme e campane! Ecche Lanciane: orte e ciardine, chiese e funtane, gente frentane, cante e camine, core a la mane, cipolle e pane…”
Qui si manifesta l’armonia della vita lancianese: orti e giardini, chiese e fontane, simboli di una semplicità rurale che si mescola alla spiritualità. Gli abitanti, i Frentani, vengono ritratti come persone generose (“core a la mane”) e laboriose, il cui stile di vita è semplice e autentico, come “cipolle e pane”. È un richiamo alla genuinità, alla vita vissuta con semplicità e senza fronzoli, ma con il cuore aperto.
Infine, Fagiani si rivolge direttamente agli estranei, agli “ospiti” che non conoscono ancora la città, invitandoli a visitarla e a scoprire di persona la sua bellezza:
“O genta furastere venètele a vidè se è lu vere che, oltre ‘sti bellezze, Lanciane te di chiù ‘na giuvenezze che vale, e ‘n cuscienze ve le diche, lu chiù spellite: ‘Dì la benediche!'”
Qui, l’autore invita con calore i forestieri a vedere con i propri occhi se ciò che descrive è vero. Al di là delle bellezze fisiche, egli parla di una “giovinezza” di spirito che permea la città, qualcosa di speciale e intangibile che merita la benedizione di chiunque la visiti. È una giovinezza che rappresenta non solo la vitalità e la freschezza della città, ma anche la sua capacità di rinnovarsi pur mantenendo intatte le sue radici.
“Bomme e campane! Ecche Lanciane: Per quattro giorni ogni anno, la città celebra la sua patrona con fuochi d’artificio, fiere medievali e la figura storica del Mastrogiurato, mantenendo viva la sua eredità e trasmettendo alle nuove generazioni un senso di comunità e appartenenza.
Buone feste lancianesi!!!!!