ORTONA- La Life Support della ong Emergency entra in porto, in perfetto orario, alle 13.30. Dopo un’ora circa i primi migranti, del gruppo di 40 naufraghi, scendono dall’imbarcazione accompagnati dai mediatori culturali. Le operazioni, svoltesi tutte lungo alla banchina del molo nord, si sono concluse alle ore 15.55. Termina cosi un soccorso che ha preso il via sabato in acque internazionali in zona SAR Maltese.
“Oggi abbiamo completato le operazioni di sbarco– spiega Domenico Pugliese, comandante della Life Support –Tutte le procedure sono state effettuate secondo le richieste delle autorità. Finalmente dopo 4 lunghi giorni di navigazione, le 40 persone soccorse possono scendere a terra, anche considerando che in mare abbiamo avuto condizioni meteo sfavorevoli che hanno creato sagio per i naufraghi”.
Il viaggio
L’imbarcazione in vetroresina era partita dalla città di Khoms sulle coste della Libia verso le 3 del mattino del 19 agosto. Dopo circa 12 ore di navigazione, i naufraghi erano stati avvistati dall’asset aereo Sea Bird 2 di Sea Watch che aveva comunicato la loro posizione alla Life Support.
Emergency si è poi diretta alle coordinate ricevute per effettuare il soccorso.
“Ci è stato assegnato Ortona, un porto molto distante dalle zone operative– afferma Carlo Maisano, capomissione della Life Support – Allontanare le navi ONG dal Mediterraneo centrale, dove ci sono molte imbarcazioni in difficoltà in questi giorni e dove muoiono migliaia di persone l’anno, è una pratica disumana.
Non si può dare soccorso in questa condizione, è necessario un coordinamento dalle autorità che consideri le navi ONG come asset fondamentali per coprire un tratto di mare che altrimenti resterebbe scoperto.
Dopo il soccorso, è fondamentale che le persone a bordo vengano portate in un porto vicino per dare loro una giusta accoglienza nel minor tempo possibile. È fondamentale che le navi ONG possano tornare nelle zone operative il più velocemente possibile”.
Le 40 persone a bordo provengono da Bangladesh, Egitto, Siria e Sudan. Tra di loro due minori non accompagnati
“Ho lasciato il Sudan quattro anni fa perché nella zona da cui vengo, il Darfur, c’erano tanti conflitti. Alcuni amici e familiari sono stati uccisi e non avevo modo di sostenermi lavorando – spiega un ragazzo di 26 anni del Sudan – Sono andato in Libia perché mi era stato detto che lì avrei trovato lavoro facilmente. Ho lavorato nel settore edile per un paio di anni, però ho sofferto tanto.
Il lavoro è molto duro e in Libia c’è una forte discriminazione razziale che ha condizionato tutti gli aspetti della mia vita. Compravo da mangiare sempre dalla stessa persona perché era uno dei pochi a vendermi il cibo. Non potevo uscire dal mio quartiere per paura di venire rapito da gruppi armati che pattugliano altre parti della città.
Non potevo più vivere così, quindi ho deciso di andarmene.
Volevo tornare in Sudan dalla mia famiglia ma lì la situazione era peggiorata ancora di più durante la mia assenza, quindi ho provato ad attraversare il Mediterraneo.
La prima volta il gommone su cui ero ha iniziato a sgonfiarsi e imbarcare acqua e sono stato riportato indietro dai libici meno di un’ora dopo che eravamo partiti. Mi hanno tenuto in prigione per quasi un anno e mi hanno liberato solo perché un mio parente che ha fatto il viaggio anni fa ha potuto mandarmi soldi dall’Europa. Sono poi riuscito ad attraversare il Mediterraneo una seconda volta e ce l’ho fatta”.
La procedura di ripartizione dei migranti seguirà il solito iter: “Il gruppo verrà equamente ripartito nelle quattro province. Particolare attenzione sarà rivolta ai due minori che resteranno in provincia di Chieti” spiega il vice prefetto Gianluca Braga.
- Daniela Cesarii