Ogni paese custodisce qualcosa di bello, unico e caratteristico che lo rende unico. Ogni cultura, ogni gruppo di persone ha le proprie usanze, tradizioni, i suoi valori e i suoi principi. Le tradizioni sono vitali per un popolo perché ne definiscono l’anima e l’identità. Se un popolo non avesse delle tradizioni non esisterebbe e nessuno lo conoscerebbe. I lancianesi sono sempre stati fieri della propria cultura che hanno sempre con orgoglio difeso. Il lancianese sa di avere una storia millenaria, ne fa un vanto e perpetrare nel tempo le proprie usanze è stata sempre una caratteristica tipicamente frentana.
Tramandate da una generazione all’altra le tradizioni sono una testimonianza viva di una cultura legata alla natura e alle stagioni, ai cicli della vita, ai riti e alla devozione religiosa.
Quando un paese perde il contatto col suo passato, con le sue radici, quando perde l’orgoglio della sua storia, della sua cultura e della sua lingua, peggiora rapidamente, smette di pensare, di creare e sparisce.
Una delle tradizioni che maggiormente caratterizzano le feste di Lanciano, ma più in generale i lancianesi stessi: è la “Nutatte”, non chiamatela notte bianca, rosa o azzurra, vi prego.
La “nuttate”, è una cosa seria, non si scherza affatto!

Quando si racconta alle persone di fuori città di questa usanza, fuochi alle 4 del mattino, pizza con i peperoni e alici, ci guardano sghignazzanti. Ok una notta bianca!
Eh no caro forestiero! Ora te la racconto io la storia.
Andiamo indietro di 189 anni e immagiamoci fermi dinnanzi ad una delle porte antiche della città. Proprio all’ingresso di corso Roma, il primo corso di Lanciano, davanti alla porta di Santa Chiara. Tutti schierati, clero, nobili, popolo, chierichetti e pie donne.
Cosa ci facevano? Semplice aspettavano un gruppo di illustri lancianesi che tornavano a piedi da Roma dove avevano ricevuto le corone auree per la Vergine del Ponte, patrona del popolo frentano.
Secondo la tradizione, proprio nel 1833, due sacerdoti lancianesi partirono a piedi alla volta del Vaticano, per farsi consegnare le corone d’oro per la statua della Vergine e del bambino. Una statua bellissima quella della nostra Madonna , con i piedi su un ponte simbolo di unione e scambio fra i popoli.
Alcuni fedeli agitati per il ritardo dei due religiosi andarono ad aspettarli a Castel Frentano, altri restarono come già detto a Santa Chiara.

Partirono che era ormai notte con le fiaccole ad illuminare questo cammino di fede e ansia. Pian piano si formò una sorta di processione spontanea. Il ritardo era dovuto a un brutto temporale incontrato sulla via del ritorno. Furono attimi senza tempo, tutti sospesi in un limbo di attesa e timore che fosse potuto accadere qualcosa. Alla fine il chiarore delle fiaccole iniziò a svelare le sagome del gruppo di ritorno mentre scendeva per il Viale dei Cappuccini che all’epoca era piena campagna.
La festa finalmente poteva iniziare. Alcuni raccontano che furono proprio le suore del convento di Santa Chiara a “costringere” tutti a rimanere al proprio posto. “ Dobbiamo aspettare le corone, la Madonna ci tiene e la festa senza la Madonna non si può fare!” Gridavano dalle inferriate della Chiesa. Il tono deve essere stato davvero perentorio; nessuno si mosse!
Oltre alle corone, i due sacerdoti portarono dal Vaticano molti documenti, indirizzati all’arcivescovo Francesco Maria De Luca, compresa una lettera di papa Gregorio XVI, che dava formalmente il permesso a solennizzare la festa in giorno solenne patronale.
Una volta incoronata la Santissima Vergine del Ponte, Patrona del Popolo Frentano, la festa poteva finalmente iniziare.
Oggi come allora tutti con il naso all’insù ad assistere ai fuochi, poi dietro alla banda per la messa in Cattedrale e ancora la pizza con i peperoni.

Ma perché proprio con i peperoni. Semplice a settembre se ne trovano in grandi quantità e spesso si utilizzavano anche ortaggi che non erano adatti per essere “incertati”, non si buttava nulla, e le “sardelle”, chissà, forse è perché danno sapore, il sapore della fine dell’estate quando tutti siamo ancora inebriati della stagione più bella.
Quel che c’è di certo, è che la tradizione è vita per tutti, senza di essa una città perderebbe il suo dna e questo i lancianesi lo sanno bene. Noi lancianesi siamo un po’ così, con una tempistica tutta nostra: spari all’alba e Natale il 23, e l’illusione della riapertura delle scuole posticipata perché facciamo festa quando tutti ricominciano la routine lavorativa e scolastica. Non è bellissimo!?

Igor Stravinsky scriveva.“Una vera tradizione non è la testimonianza di un passato concluso, ma una forza viva che anima e informa di sé il presente.”
Buone feste a tutti!
Clara Labrozzi
(Articolo pubblicato sull’Almanacco delle Feste di Settembre 2022)