Sabato 3 gennaio con il tradizionale concerto di Capodanno, riapre dopo lunghi mesi di chiusura dovuti ad importanti restauri, il Teatro Comunale “Fedele Fenaroli”. I cittadini frentani sono dunque pronti a riappropriarsi del “salotto buono” della cultura lancianese, una luogo che trasuda arte, storia, musica e poesia e che nei secoli ha visto il suo palco calcato da grandissimi attori e personaggi che hanno lasciato un segno importante nell’arte della prosa e della commedia.
Il Fenaroli ha una storia lunga in cui si alternano momenti di lustro e prestigio ad altri di decadenza ed abbandono.
Come riporta Gianfranco Miscia a Lanciano le attività teatrali avevano una solida tradizione e le prime notizie in tale senso, risalgono al 1730. Tuttavia solo nel 1761 si comincia a parlare di una struttura fissa adibita a teatro, in seguito alla stipula di un contratto di locazione per costruirne uno nel fondaco denominato lo “stallone” vicino alla chiesa della SS. Annunziata. L’esistenza di questo primo edificio a Lanciano è comprovata dall’Indice de’ teatrali spettacoli del 1785/86 che lo cita come unico in Abruzzo assieme a quello dell’Aquila.
Sul luogo dove oggi sorge il teatro sorgeva una chiesa dei Padri Scolopi dedicata a San Giuseppe Calasanzio, fondata nel XVII secolo per volere di Giovanni Francesco Valsecca.
Il 28 gennaio 1815 venne avanzata la prima proposta di costruire un teatro comunale poi ripresa nel 1826. Si andrà avanti, sostanzialmente invano, fino al 1833 anche se la struttura verrà ultimata su disegno dell’ingegnere orsognese Taddeo Salvini soltanto nel 1841, quando la città frentana riuscì ad inaugurare il Teatro San Francesco (in omaggio alla dinastia borbonica) con la “Lucia di Lammermoor” di Donizetti e “La Norma” di Bellini per il genere serio e con l’opera buffa “La dama e lo zoccolaio” di Vincenzo Fioravanti, maestro di cappella della Santa Casa del Ponte negli anni 1838-1843, che era stata rappresentata nello stesso anno al Teatro “S. Ferdinando” di Chieti.
Il cronista lancianese Carmine De Giorgio riferisce che il teatro era composto da 44 palchi divisi in tre ordini, il loggione e la platea di oltre cento posti anche se al momento dell’inaugurazione, mancava ancora delle decorazioni interne e del completamento della prospettiva.
Per tali motivi nel 1843 Lanciano teneva ancora a stipendio con 40 ducati al mese, l’architetto Salvini che, oltre ad essere stato il disegnatore e progettista, diresse anche i lavori di costruzione.
Data importante è quella del 22 aprile 1847 quando ci fu la consacrazione ufficiale alla presenza del re Ferdinando II di Borbone e della regina. Il teatro di Lanciano inizialmente chiamato “Maria Cristina” poi “S. Francesco” divenne “Teatro Fenaroli” dopo la caduta della dinastia borbonica in onore del celebre compositore e musicista frentano. Esso, insieme al “S. Ferdinando” di Chieti e al “Real Borbonico” di Vasto era tra i piu’ importanti del circondario.
Analizzando il periodo 1888-1893 ci si rende conto di molti aspetti significativi.
Intanto è interessante notare che in quegli anni la direzione d’orchestra fu affidata spesso a Vittorio Pepe, soprannominato lo Strauss d’Abruzzo che dopo essere stato a Milano ed aver avuto la fortuna di avere Ricordi come editore, si era ritirato in Abruzzo e aveva avuto successo come direttore d’orchestra e compositore di brani soprattutto pianistici, potendo godere tra l’altro della stima di Gabriele D’Annunzio che lo aveva proposto alla guida della corporazione musicale “Luisa D’Annunzio” di Pescara.
In secondo luogo sappiamo sempre da Miscia, che soprattutto alla fine delle rappresentazioni veniva dato spazio alle composizioni degli artisti locali tra i quali spiccano Francesco Paolo Bellini (che era stato allievo di Francesco Masciangelo e Camillo De Nardis attivo non solo in teatro ma in tantissime altre occasioni musicali, rimasto nella memoria dei cittadini di Lanciano per il fatto che ancora oggi si eseguono in occasione del Venerdì Santo alcune sue composizioni sacre, e Giovanni Gargarella anch’egli allievo di Masciangelo.
Come riportano Lugi Caliterna e Giuseppe Nativio nei loro scritti, dopo la Prima Guerra Mondiale l’incremento demografico ed il costo delle compagnie resero insufficienti i vecchi edifici ed antieconomica la gestione dei teatri.
D’altra parte il cinema, chiamato la decima musa, con l’offrire spettacoli continuati ed a buon mercato, distolse il pubblico dalle rappresentazioni interpretate da attori.
In questo periodo si assiste alla chiusura di molti teatri ed alla loro trasformazione in sale di proiezione cinematografica ed alla conseguente spasmodica ricerca di una maggiore capienza.
Non sfugge a questa condizione nemmeno il Teatro Fenaroli che nel 1933, tale è la data del progetto ritrovato, realizza l’abbattimento degli ultimi due ordini di palchi con la conseguente costruzione di una grande balconata a gradoni che ne snatura completamente l’architettura.
Anche il controsoffitto decorato viene demolito per far posto ad uno nuovo di foggia diversa che, malamente raccordato, tenta di coprire il nuovo anomalo svilupparsi della sala. In epoca successiva, non paghi di tali prodezze, viene anche abbassato il livello della platea nell’intento di ricavare alcuni posti, lateralmente, sotto il primo ordine di palchi.
In questa situazione si giunge fino agli anni ’90 con un grosso intervento che ha ricomposto l’originale assetto architettonico della sala con i suoi quattro ordini di palchi e la sua cupola di coperta, con l’abbattimento della impropria e deturpante gradinata realizzata al momento della trasformazione in sala cinematografica.
La fatiscente copertura in legno fu interamente sostituita con altra costituita da capriate di acciaio. Con gli stessi materiali venne eseguito l’ampliamento del palcoscenico ottenendo cosi’ gli spazi necessari per realizzare ben otto camerini per gli artisti, e quattro cameroni per gli artisti del coro e per le comparse.
A piano sotto il palcoscenico sono stati invece ricavati in posizione sottostante ai camerini due ambienti di notevoli dimensioni destinati a spogliatoio per i professori d’orchestra.
La sala venne accuratamente arredata utilizzando speciali velluti con regolare classificazione ignifuga allo scopo di evitare, in caso di incendio, produzione di fiamme e vapori venefici.
Con gli stessi materiali sono stati confezionati il sipario, il panno di boccascena, l’arlecchino e tutti i componenti che inquadrano la scena. Lo stesso dicasi per il rivestimento delle poltrone, le buonegrazie dei palchi e, in una parola, tutto ciò che costituisce materiale tessile decorativo e funzionale.
I lavori si sono protratti per diversi anni arrivando fino al 1998. L’anno prima nel 1997 sotto l’amministrazione del primo cittadino Nicola Fosco vennero risistemati nella parte alta della facciata dei fasci littori, simili a quelli presenti negli anni del Ventennio. Tuttavia nell‘ottobre del 2017 dopo il via libera della Soprintendenza questi simboli sono stati definitivamente rimossi.
Il 25 aprile dello stesso anno durante la Festa della Liberazione, l’artista Nicola Antonelli coprì uno dei fasci con un telo, trasformando il simbolo fascista in un’opera d’arte che ne denunciava la presenza.
Il cantiere da poco concluso era iniziato nel febbraio scorso e per la sua esecuzione sono stati stanziati 250mila euro di fondi Pnrr e 143.500 euro di somme stanziate dal Comune. Il Fenaroli ora sarà dotato delle tecnologie più innovative per quanto riguarda il contenimento energetico, con impianti fotovoltaici, pompe di calore, riscaldamento a pavimento, nuove luci a led, pannelli radianti in platea e nuovi infissi.
. Simone Cortese
