Nasce ufficialmente il “Parco della Costa Teatina”. Un nome che suona istituzionale, inclusivo, rassicurante. Ma che, a guardarlo bene, apre più domande di quante ne chiuda. Perché questa costa — da Vasto a Ortona — è storicamente e culturalmente frentana, non teatina. Da Vasto a Torino di Sangro, passando per Fossacesia e San Vito Chietino, siamo nel territorio dei Frentani, popolazione italica legata al mare, alla pesca, ai porti, non all’entroterra teatino.
Il Teatino, quello vero, è Chieti, l’antica Teate Marrucinorum: colline, interno, mondo marrucino. Non i trabocchi, non le marinerie, non le comunità costiere.
E allora la domanda è semplice e legittima: cos’ha di teatino una costa che nasce e si sviluppa come frentana?
Il termine “teatina” non emerge dalla storia né dalla geografia culturale.
È una sovrapposizione amministrativa, una scelta politica che rischia di confondere le identità invece di valorizzarle. A rendere l’equivoco ancora più evidente c’è il grande rimosso: il fiume Sangro.
Confine storico dei Frentani, linea identitaria prima che geografica, il Sangro — e soprattutto la sua foce, tra Torino di Sangro e Fossacesia — è uno dei nodi più delicati del progetto di parco.
Nominarlo significherebbe fare chiarezza. Più facile, invece, allargare l’etichetta.
La tutela ambientale è sacrosanta.
Ma senza una narrazione fedele dei luoghi, anche un parco rischia di nascere su un equivoco di fondo: un nome che unisce sulla carta, ma che nella storia e nella cultura non regge.
Chiamare le cose con il loro nome non divide.
Al contrario, è il primo passo per il loro nome è il primo passo per rispettarle.







