Senza una strategia mirata e politiche industriali capaci di coniugare transizione ecologica, tenuta sociale e rilancio della competitività, l’Italia rischia di perdere un settore fondamentale per la propria economia, quello dell’automotive.
A lanciare l’allarme, questa mattina, ad Atessa (Ch) sono stati i protagonisti del panel “Crisi e prospettive dell’automotive”, svolto nell’ambito di Val di Sangro Expo, rassegna espositiva che andrà avanti fino al 21 settembre prossimo.
L’incontro, promosso dal Comune, ha visto la partecipazione di rappresentanti politici, istituzionali, accademici e sindacali di primo piano. Gremita la sala, tanti i lavoratori metalmeccanici presenti.
I relatori: Carlo Calenda, senatore e già direttore dell’area Affari internazionali di Confindustria (in collegamento da remoto); Lorenzo Sospiri, presidente del Consiglio regionale dell’Abruzzo; Samuele Lodi, responsabile auto segreteria nazionale Fiom Cgil; Stefano Boschini, settore auto nazionale Fim Cisl; Rocco Palombella, segretario generale Uilm; Paola Inverardi, rettrice del Gran Sasso Science Institute; Daniela Di Pancrazio, vicepresidente Confindustria Abruzzo; Marco Matteucci, responsabile automotive Confindustria Medio Adriatico.
A sorpresa è stato chiamato ad intervenire anche Luigi Galante, già direttore della ex Sevel (oggi Stellantis) per 11 anni e per 21 amministratore delegato.
Ad aprire e a moderare l’incontro il sindaco di Atessa, Giulio Borrelli, che ha ribadito: “Questo territorio è il cuore pulsante dell’economia regionale. La tempesta dell’automotive ci investe in pieno e le cause sono complesse, tra i limiti del Green Deal europeo, la forte concorrenza cinese contro cui, con l’elettrico abbiamo, già perso, e le scelte industriali dei grandi gruppi”.

Il quadro emerso è quello di una crisi strutturale e sistemica.
Lo stabilimento Stellantis di Atessa ha perso 1.600 lavoratori dal 2021 e ha visto la produzione scendere da 310mila del passato a 192mila furgoni del 2024, nonostante tutto, questo sito è rimasto il punto di forza del gruppo.
A livello nazionale il calo Stellantis nella produzione e nelle vendite si somma al peso del costo dell’energia, molto più elevato rispetto ad altri Paesi europei. Gran parte del dibattito si è concentrata sulla sfida della transizione elettrica.
Matteucci ha ricordato che le auto ibride sono passate dal 30 al 45 per cento delle vendite in due anni: “Il mercato ci dice che un occhio all’ambiente c’è, ma non possiamo pensare a una rete che parli solo elettrico se non ci sono infrastrutture adeguate.
Tornare indietro significherebbe ritrovarsi in un passato che non esiste più, dobbiamo invece gestire la riconversione con più investimenti e nuove competenze”. Sullo stesso tema critica la posizione dei sindacati.
Per Fiom, rappresentata da Samuele Lodi, “parlare di automotive in Italia significa parlare di Stellantis, perché abbiamo solo Stellantis, oggi ottavo produttore in Europa, 20 anni fa il secondo. La transizione, così come voluta dall’Europa, è stata fatta contro i lavoratori. L’Ue, dopo le imposizioni, non è stata coerente e conseguente in termini di investimenti e di tenuta sociale.
Ma è di Stellantis – ha rimarcato – la responsabilità del disinvestimento progressivo nel nostro Paese.
Negli ultimi 10 anni esso registra 15-16mila lavoratori in meno, solo nel 2024-2025 sono stati elargiti incentivi all’esodo ad altri duemila lavoratori. E quando si campa di incertezze e di ammortizzatori sociali, è normale che un lavoratore accetti incentivi per 50-80mila euro per lasciare la fabbrica, in cerca di maggiori sicurezze e di nuove opportunità.
Stellantis, così, non chiude le fabbriche, le spegne gradualmente.
Occorre un impegno concreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, altrimenti, nel nostro Paese, rischiamo di perdere l’industria automobilistica”. Rocco Palombella, segretario generale Uilm, ha parlato di “vero e proprio disastro” legato alla transizione, che ha provocato un “effetto panico”, ma non solo.
“C’è anche un problema sociale che non viene affrontato, perché gli stipendi sono fermi e il costo della vita aumenta… Il vero problema è salariale, perché bisogna avere la possibilità di acquistare beni. Stellantis negli ultimi anni – ha sottolineato l’esponente Uilm – ha collezionato record negativi di produzione, ovunque.

Ad Atessa siamo passati da 310mila a 192mila furgoni. Gli autosaloni sono pieni di auto elettriche cinesi dai bassi prezzi, a partire da 5mila euro, mentre una Fiat 500 ne costa 30mila. La questione non è solo industriale ma sociale: se i salari restano bassi e una Fiat 500 elettrica costa 30mila euro, chi se la può permettere? Gli incentivi non bastano se la gente non ha i soldi.
Caro Filosa anziché parlare al Governo, vieni a parlare negli stabilimenti, ai lavoratori, alle famiglie”.Per la Fim, con Stefano Boschini, “le modalità decise dall’Unione Europea sono state suicide: sapevamo che con l’elettrico si sarebbe ridotta del 30% l’occupazione a parità di volumi, ma non sono state introdotte gradualità.
La formazione resta indietro e gli stabilimenti rischiano di fermarsi.
Responsabilità dell’Ue sì, perché avrebbe dovuto introdurre una transizione morbida nei confronti di chi deve pagarla. Ma Stellantis ha colpe proprie… Il “piano” Tavares di anticipare la transizione è fallito.
Oggi la maggior parte degli stabilimenti sono fermi, tranne Pomigliano e Atessa. Il costo esorbitante dell’energia ha fatto il resto, anche quello di mettere in stand by il progetto della gigafactory di Termoli. Le batterie, Stellantis, le ha messe in produzione in Spagna”. Stellantis quindi accusata di un disimpegno progressivo.
“Negli ultimi tre anni abbiamo assistito a una deindustrializzazione mascherata – ha detto Carlo Calenda – con la vendita di asset strategici e investimenti spostati in Cina e Spagna. Il management è disastroso: macchine fuori mercato, di qualità discutibile, e nessun piano industriale serio. Se il governo non affronterà Stellantis con decisione, rischiamo di perdere tutta l’automotive italiana”.
Dal mondo accademico è arrivato un richiamo all’innovazione. Paola Inverardi ha spiegato che “in Abruzzo sono in corso progetti, anche con le università, per costruire nuove tecnologie che guardano all’elettrico e al futuro. Dobbiamo rafforzare le reti internazionali e creare poli di ricerca e trasferimento tecnologico: solo così il territorio può continuare ad avere una prospettiva di sviluppo”.