Cosa sta succedendo sui campi da calcio abruzzesi? Quella che dovrebbe essere un’arena di crescita, educazione e passione si sta trasformando, troppo spesso, in un teatro di violenza. In Abruzzo, l’emergenza aggressioni verso gli arbitri ha raggiunto livelli allarmanti, soprattutto nelle categorie minori e giovanili. Un fenomeno che mina alle fondamenta il modello educativo sportivo e rischia di compromettere il futuro dello sport dilettantistico e formativo.
• Insulti, minacce, spintoni. E sempre più spesso, schiaffi. Ai danni degli arbitri, diventati bersagli mobili di frustrazioni altrui
Negli ultimi mesi, l’Abruzzo ha collezionato una serie di episodi inaccettabili. A marzo, un direttore di gara 19enne è stato aggredito a fine match nella zona del Chietino: colpevole, secondo i tifosi locali, di aver “rovinato la partita”. Poco dopo, un altro giovane arbitro è stato spintonato da un dirigente di una squadra giovanile a Pescara. E gli episodi aumentano, settimana dopo settimana, come in una spirale che nessuno sembra riuscire a spezzare.

• Dove finisce la passione e inizia la follia?
Parliamo di sport, ma usiamo parole da cronaca nera. Parliamo di gioco, ma contiamo i feriti. Parliamo di educazione, ma mostriamo ai bambini che un arbitro si può insultare se la squadra non vince. Che si può minacciare chi applica il regolamento. Che si può perdere la testa e restare impuniti.
• Il problema non è solo la violenza. È il modello
Quando un genitore urla “venduto!” a un ragazzo con il fischietto, cosa sta insegnando a suo figlio? Quando un mister sbraita contro il direttore di gara, cosa comunica alla squadra? Quando un dirigente aggredisce, cosa trasmette alla società che rappresenta?
Molte aggressioni partono dalle panchine, dalle tribune, da genitori che, invece di sostenere i figli, si trasformano in ultras fuori controllo. Un calcio così non è formativo. È tossico. Emerge con forza il fallimento di un sistema educativo che ha smarrito il senso del rispetto, della disciplina, della lealtà sportiva. Lo sport dovrebbe insegnare a vincere e perdere con dignità. Invece, oggi, troppi adulti si comportano come se la partita fosse una questione personale da risolvere con la violenza.
Il problema, in Abruzzo come altrove, è un modello educativo che ha perso la rotta. Un cortocircuito tra agonismo e prevaricazione, tra tifo e odio. Ma i campi da gioco dovrebbero essere tutt’altro: luoghi di crescita, di rispetto, di sconfitta vissuta come lezione.
• Gli arbitri sono ragazzi. Spesso minorenni. Eppure trattati come nemici da abbattere
Il dato più allarmante riguarda proprio l’età delle “vittime”. Molti arbitri in attività nelle categorie minori hanno meno di 20 anni. Si avvicinano a questa attività con entusiasmo, responsabilità, passione. Ma quanti di loro smettono dopo pochi mesi per colpa della paura? L’AIA (Associazione Italiana Arbitri) segnala un tasso di abbandono altissimo: un’emorragia di giovani che non reggono la pressione, la solitudine, la violenza verbale – e purtroppo, anche fisica.
Se un ragazzo di 17 anni, alla sua prima esperienza, viene aggredito da un adulto per una decisione arbitrale, che messaggio si sta trasmettendo?

• Serve una rivoluzione culturale. Ora
La violenza sui campi di calcio, soprattutto a livello giovanile e dilettantistico, è un fenomeno allarmante che richiede un intervento immediato e coordinato. È fondamentale ristabilire i valori autentici dello sport, garantendo un ambiente sicuro e formativo per tutti i partecipanti.
Serve un patto tra istituzioni sportive, scuole e famiglie. Serve che ogni campo diventi un presidio di rispetto. Che le società sportive si assumano la responsabilità educativa che hanno. Che i genitori tornino a fare i genitori, non gli ultras. Che le squalifiche siano esemplari e le denunce non più un tabù.
Il calcio, il basket, la pallavolo… non sono solo sport. Sono strumenti potentissimi per formare cittadini, non tifosi rabbiosi. E allora, se davvero vogliamo “proteggere lo sport”, cominciamo con il dire la verità: non c’è sport dove c’è violenza.
E chi la giustifica, chi la minimizza, chi la lascia passare in silenzio sta giocando nella squadra sbagliata.
. Dennis Spinelli