Il Primo Maggio si avvicina come ogni anno, ma il senso di questa ricorrenza si fa via via più sfilacciato, proprio come la condizione del lavoro in Italia. È la festa dei lavoratori, ma per molti non c’è nulla da festeggiare. C’è chi lavorerà comunque – nei centri commerciali, nei negozi aperti a metà giornata, nei ristoranti affollati – come se un giorno di riposo potesse davvero cambiare qualcosa.
Il lavoro oggi è diventato un campo minato. Contratti a tempo determinato, partite IVA mascherate, tirocini senza sbocchi, lavori stagionali malpagati. Eppure, sui documenti ufficiali, l’occupazione pare in crescita. Secondo l’ISTAT, nel primo trimestre del 2025 il tasso di occupazione in Italia ha toccato il 61,7%, il dato più alto dal 2004. Ma basta grattare un po’ sotto la superficie per scoprire che il 31% dei contratti attivati nel 2024 è stato a tempo determinato, con una durata media di soli 56 giorni.
In Abruzzo, la situazione non è diversa. I dati del Ministero del Lavoro parlano di circa 14.000 nuove assunzioni nel primo trimestre del 2025, ma oltre il 70% di queste riguarda contratti a termine. Nella fascia 30-44 anni, quella che dovrebbe essere il motore dell’economia, più di un lavoratore su tre è precario.

I giovani – o quelli che giovani non sono più, superata ormai la soglia dei 35, dei 40 anni – inseguono ancora quel miraggio che era il tempo indeterminato. Alcuni, con coraggio o forse incoscienza, hanno fatto scelte autonome, mettendosi in proprio o accettando di lavorare per poco pur di non restare fermi. Ma oggi si trovano in un limbo: con una famiglia da mantenere, magari un mutuo sulle spalle, e uno stipendio che si sbriciola davanti all’inflazione.
Basta guardare il carrello della spesa. L’Unione Nazionale Consumatori ha stimato che il prezzo del pane è aumentato del 70% in cinque anni: da una media di 1,99 euro al chilo nel 2020, si è arrivati a sfiorare i 5 euro in alcune città italiane nel 2025. E con esso è lievitato tutto: energia (+28% solo nel 2024), carburanti, affitti, bollette. La forbice tra chi ha e chi non ha si allarga inesorabilmente, mentre la fatica quotidiana non è più solo fisica, ma anche emotiva, psicologica.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in una società dove lavorare non garantisce più dignità. Dove la stabilità è un lusso, dove le certezze sono evaporate, dove si sopravvive più che vivere. Questo dovrebbe essere il tempo delle domande, della riflessione. Perché se il lavoro è diventato un frammento tra mille incertezze, allora il Primo Maggio deve tornare ad essere anche lotta, consapevolezza, voce alta in mezzo al silenzio.
Non ci serve una festa vuota. Ci serve un futuro pieno.