Una svolta normativa resasi tragicamente emergente per tutte le vittime coinvolte, celebrata nel giorno dedicato alle donne: il reato di femminicidio diviene fattispecie giuridica autonoma secondo lo schema di Disegno di Legge presentato in Cdm dai ministri Roccella (Famiglia, natalità e pari opportunità), Casellati (riforme istituzionali e semplificazione normativa), Calderone (Lavoro e politiche sociali), Piantedosi (Interno), e Nordio (Giustizia).
In collegamento dopo il Consiglio dei Ministri n.117, ecco la presentazione del provvedimento “sull’Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”, presso Palazzo Chigi.

Diverse le novità esplicitate dall’esecutivo a livello sociale, formale e procedurale, anzitutto circoscrivendo la specificità del reato autonomo, in quanto il femminicidio è caratterizzato da un elemento chiave quale l’asimmetria tra vittima e carnefice, nonché la violenza esercitata da quest’ultimo che acquisisce espressione di odio, prevaricazione ed intolleranza verso la libera autodeterminazione.
I numeri citati durante la conferenza stampa non lasciano margine a troppe spiegazioni, con incrementi sostanziali in termini statistici sui fenomeni principali di violenza, come il revenge porn e stalking (+44%), o in ambito domestico (+126%).
Sul piano procedurale, il ministro Nordio ha sottolineato ulteriori passaggi importanti.
In primis il bilanciamento tra aggravanti e attenuanti di rinvio al codice rosso che non favoriscono indulgenza verso il reo. L’attenzione posta alla vittima o ai suoi parenti in caso di morte, che si estrinseca in più fasi, tra cui obbligo del PM di ascoltare direttamente i parenti senza la delega alla polizia giudiziaria. Tale aspetto espone la necessità di responsabilizzare la magistratura verso questo reato autonomo da un lato, formare professionalmente i magistrati dall’altro, senza declassificare l’onere d’ufficio della PG. Sussiste comunque l’obbligo di ascoltare la vittima, il cui parere non sarà vincolante, ma costituirà motivazione per il giudice se dovesse disattenderlo. Per altre modificazioni al trattamento penitenziario o delle misure cautelari, servirà sentire vittima e/o parenti.
A livello formale, la valorizzazione della vittima nella dialettica processuale manifesta la volontà di sottolineare la gravità criminologica del femminicidio, provando ad offrire maggiori tutele alle donne in sede giudiziaria.
La norma prevede:
“Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo, si applica l’articolo 575 del codice penale, che prevede una pena non inferiore a 21 anni”.
“La pena è aumentata da un terzo alla metà se”, nel caso di maltrattamenti di familiari o conviventi, “il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. Inoltre, le vittime dei reati di femminicidio, dovranno ricevere immediata notifica riguardo la scarcerazione del condannato.
- Dennis Spinelli