La cronaca nazionale riporta quotidianamente episodi legati a violenze perpetrate tra giovani, in forme e contesti permeati dall’assenza di “autorità” declinata sotto la matrice di autorità-famiglia, autorità-istituzione, o semplice auto-autorità, che attiene all’apprendimento delle nozioni morali alla base della odierna società.
La radice – autos, dal greco – qui sta ad indicare il principio della responsabilità intenzionale quando si commettono azioni oltre l’ethos, il “se stesso” intimo che governa l’agire generale e permette di ridefinire standard personali attraverso modelli educativi e culturali.
Tale premessa risulta obbligatoria affinché si scindano cause, ragioni, spiegazioni e conseguenze dei fenomeni osservati, ma lo è anche in funzione dei micro insiemi da analizzare nel sistema “giovani abbandonati”.
C’è poi un’espressione del linguaggio nietzschiano, ereditata nel grande capolavoro di Guccini che divenne un simbolo generazionale atto a descrivere la realtà sociale degli anni 60′.

“Dio è Morto” rappresenta con estrema chiarezza la progressiva caduta dei pilastri educativi, i quali lasciano spazio alla modernità superficiale. Il grido di protesta del 1965 si infranse ai piedi della critica e della censura, eppure ebbe fortuna nel tempo grazie alla capacità di tradurre i primi segnali di cedimento. Nel capolavoro emergono visioni nitide sulla deriva post guerra, vizi e costrizioni della gen-60′ immersi nel contesto dello sviluppo economico, linea percorsa a cavallo del consumo di massa, o delle rivendicazioni civili su libertà e diritti. Scenari estremamente differenti ma il capolavoro artistico di Guccini sembra adattarsi perfettamente anche alla contemporaneità.
OLTRE LA VIOLENZA, LA SOCIETÀ LIQUIDA
Non solo violenze, baby gang, degrado periferico, perché lo smarrimento attira a sé problemi meno rumorosi pur così comuni come la crescente solitudine della civiltà liquida, l’autoprivazione dentro le stanze oscure, il senso del fallimento che genera vacuità ad esempio sugli studi universitari, sull’ansia derivante dalla ricerca del lavoro, sulle aspettative nutrite dalla giuria esterna con un futuro costantemente da decifrare, i social, l’abuso di droghe o i drammi familiari in aumento.
Il quadro cubista, la Guernica dell’attuale Italia è il risultato di promesse disattese e decisioni inevitabilmente anacronistiche, nonostante un’autostrada lastricata di buone intenzioni e una storia altrettanto auspicante.
Guai a sminuirne la portata o a buttarla sullo scontro intergenerazionale, poiché un’Italia malata è patria di italiani malati, giovani abbandonati, dunque un Paese destinato a perdere i propri valori, la propria identità; e senza identità si perdono riferimenti ovunque. Avanzano gli ideali di mercato, o meglio a buon mercato, sponsorizzati dai trend culturali, sorge una Nazionale dei più forti che uccide l’emozionalità dei più deboli. Vietato soffrire troppo, vietato accogliere le emozioni, vietati i legami stabili, gli affetti duraturi, o il romantico amore eterno; vietato sbagliare, vietato rallentare i ritmi della vita. Conta schierarsi preferibilmente tra i titolari inamovibili della ribalta, seguendo l’agenda come se fosse uno schema preimpostato, pena l’esclusione dalle logiche cosiddette normali.
FAMIGLIE E SCUOLE ONLINE: BASTA UN CLICK PER ATTIVARE IL SILENZIO
Viene spontaneo attribuire nessi causali tra vicende riportate in cronaca e relativi giudizi perentori, spesso frutto di paternalismi stridenti sui social, ciononostante è proprio questo meccanismo induttivo a distribuire colpe a raffica purché private dal tentativo di comprenderne le ragioni. Si assiste alla faida dialettica tra genitori sindacalisti e figli trasgressivi, a suon di like e commenti, eppure si torna al religioso silenzio nelle quattro mura domestiche. Un cortocircuito abbastanza evidente che descrive plasticamente la situazione in casa di milioni di italiani, dove la comunicazione avviene seguendo codici semplici, mai autenticamente impegnati e reciproci.
Non si parla di vita, di insuccessi, delle proprie paure o delle difficoltà adolescenziali in maniera lenta, interessata; scade il rapporto caldo e accogliente, sostituito dalle deleghe deferenziate.
Nelle scuole il motivo non cambia: gli insegnanti vivono l’epoca del precariato e dello smart working, la disgrazia colpisce gli studenti che vengono riempiti di nozioni frettolose, asettiche, fuori dalla realtà che vivono, mentre il contesto attorno a loro si evolve su altri binari. Da istituzione formativa e laboratorio educativo, a struttura pensionistica dove parcheggiare ragazzi, il declino degli spazi aggregativi ha condotto alla perdita di luoghi pubblici in cui scoprire se stessi, coltivare passioni, condividere emozioni.
Il ruolo guida allora si sposta perifericamente ai margini della civiltà, nello spazio incontrollato e senza filtri del metaverso fatto di imperativi, messaggi pericolosi, algoritmi malintenzionati, oasi di illegalità talvolta, amoralità, o ancora nelle zone degradate in cui la legge sostanziale non esiste.
UN’ALTRA PROSPETTIVA: IMPARARE A GESTIRE LE EMOZIONI
Capire, comunicare, ascoltare sono elementi fondativi della formazione e tanto altro ci sarebbe da implementare sotto diversi aspetti: sul piano politico e legislativo in primis, perché alcune dinamiche proliferano laddove c’è l’assenza dello Stato.
Sul piano culturale e sociale, iniziando a sradicare concetti e comportamenti che alimentano in maniera anche indiretta quel senso di abbandono e di incomprensione.
Un primo passo molto importante potrebbe essere già un atto rivoluzionario, ossia imparare a gestire le emozioni, insegnare ai ragazzi come autogestirsi, in parallelo comprendere che l’emozionalità è componente di tutti gli esseri umani, a prescindere dalle caratteristiche formali.
In molte notizie riportate dai media a proposito di giovani abbandonati e situazioni al limite, si evince una prova ben identificata: i ragazzi hanno gravi carenze nella gestione delle proprie emozioni, patiscono eccessivamente il peso dell’emozionalità, soprattutto non sanno minimamente come risolvere questi dilemmi interiori.
È il caso delle baby gang, bande di ragazzi con storie difficili, privati di qualsiasi riferimento, è il punto centrale su migliaia di studenti stressati, depressi e purtroppo già sepolti dai genitori.
È ancora il caso dei giovani costretti ad emigrare all’estero e di coloro che faticano a realizzarsi mediante il lavoro, è il caso di chiunque non riesca ad affrontare un lutto, una separazione traumatica, un tradimento, una sconfitta sportiva o la circolare monotonia quotidiana fatta di doveri estranei alle passioni.
Secondo uno studio, quando parliamo di regolazione emotiva “attuiamo strategie per gestire le emozioni che proviamo in un dato momento, ossia la capacità di:
• Riconoscere e distinguere tra le diverse emozioni
• Accettare il proprio vissuto emotivo, a prescindere che esso sia piacevole o spiacevole
• Usare le emozioni come spinta nel raggiungimento di obiettivi personali o relazionali
• Modulare gli aspetti modificabili dell’esperienza emotiva, come, intensità, contenuto e durata”.
Bion sosteneva che questo ruolo definito rêverie materna dovesse essere svolto, in tema di psicoanalisi, dalle figure genitoriali. Vale per il bambino, ma in senso prettamente sociologico e generalizzato vale per le nuove generazioni e le sfide del nuovo millennio.
Assumere l’esistenza di suddette problematiche, in relazione ai contesti sociali e trovare soluzioni anche mediante l’assistenza di specialisti apre le porte alla riflessione sul tipo di società che stiamo costruendo.
Una mega piazza connessa 365 giorni l’anno, eppure vittima del solitudine connaturata nel silenzio.
Vivere le emozioni abbracciando il vissuto esperienziale, passare attraverso gli stati emotivi accogliendo questo corso come momento prezioso, infine essere coinvolti dalle contingenze esterne per sviluppare comprensione, curiosità e ulteriori informazioni sul proprio essere.
Un’Italia malata patria di giovani abbandonati è il presupposto necessario dal quale ripartire per analizzare ciò che accade, affinché si edifichi un futuro diametralmente migliore… ed emozionante.
- Dennis Spinelli