TERAMO – Ennesimo suicidio nel carcere. Secondo i dati forniti da Antigone sono 44 dall’inizio dell’anno i suicidi in carcere. Un detenuto di 74 anni, che stava scontando una pena per un omicidio commesso con il figlio, si è tolto la vita in una cella di Castrogno. Il compagno di cella ha subito chiamato il poliziotto di servizio e sono scattati i soccorsi. Purtroppo gli sforzi si sono rivelati essere vani. In una nota il Sindacato autonomo polizia penitenziaria, evidenzia che “episodi simili, in un certo modo, portano con sé il fallimento del sistema penitenziario, talvolta incapace di intercettare il disagio dei più fragili che vedono nell’estremo gesto l’unica via d’uscita. Siamo costernati e affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”.
Per il segretario generale Donato Capece, si rendono sempre più necessari gli interventi urgenti suggeriti dal Sappe per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane:
“Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della messa alla prova; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”.
Per il sindacato occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti.
L’associazione Antigone parla di un’emergenza nazionale
“Se in una città di 60 mila abitanti si suicidassero 44 persone in pochi mesi non parleremo di altro. Per questo, Governo e Parlamento se ne devono occupare in via prioritaria, anche a fronte di una situazione di sovraffollamento sempre più grave, con oltre 14 mila persone detenute senza un posto regolamentare, condizioni di vita sempre più difficili per i reclusi e di lavoro faticosissime per gli operatori penitenziari.
Serve intervenire con provvedimenti che portino ad una riduzione del peso sulle carceri attraverso la concessione di misure alternative; serve liberalizzare le telefonate dotando le celle di telefoni laddove (ed è la maggioranza dei casi) non sussistano problemi di sicurezza rispetto ai contatti con l’esterno; serve assumere personale; serve ridurre il peso dell’isolamento; serve che si modernizzi la pena carceraria; serve che la vita in carcere sia piena di iniziative, senza ostacoli o burocrazie; serve che non vi sia mai violenza”.
L’invito dell’associazione al governo è:
“A ritirare il ddl sicurezza che, invece, va verso una strada che è l’opposto di quanto servirebbe e, soprattutto, con l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria, nella quale si punisce con una pena fino a 8 anni anche la resistenza passiva e la protesta non violenta, lascerà alle persone detenute come unico strumento per far emergere le difficoltà e le problematiche il proprio corpo, con un prevedibile aumento di atti di autolesionismo e suicidi”.
- Daniela Cesarii