La compagnia lancianese degli ‘Amici della Ribalta’ sarà protagonista domani sera, 27 luglio, al Festival delle Regioni – Lingue, tradizioni e sapori d’Italia, una rassegna che mette a confronto le tradizioni culturali italiane portando in scena le migliori compagnie di teatro amatoriale con la commedia tratta dall’opera di Emiliano Giancristofaro “Cara Moglia”.
La manifestazione, realizzata in collaborazione con la Federazione Italiana Teatro Amatori (FITA), è in programma al Complesso monumentale di San Nicolò dal 26 al 30 luglio con nove appuntamenti, tra cui i tre organizzati dalla FITA Umbria per la Festa del Teatro.
Nobilitare l’emigrazione è utopia, scriveva Francesco Paolo Cipollone.
“Quando l’Europa avrà illuso “i sudditi” sulla intervenuta assenza delle frontiere, toccherà, a chi è nel bisogno, capire che le distanze misurano gli stessi chilometri di sempre. L’equivoco ambiguo, voluto da sempliciotti e fortunati, discende dall’arte sottile di convincere i meno provveduti che viaggiare sia facile, scegliersi un posto per vivere anzichè un altro sia un gioco magico, le possibilità per muoversi, appannaggio di una minoranza di privilegiati, siano dettagli. Attori, cantanti, sportivi con aerei personali, ricchi, attraverso le pilotate persuasioni di temperie, rafforzano questo fallace convincimento. Esiste invece, ancora massiva, l’emigrazione per la conquista del pane, per l’obliterazione dei sentimenti migliori, per il violentamento dei legami familiari più sacri.
Da questo omaggio alla disperazione nasce la commedia drammatica di Mario Pupillo costruita sul libro del cortese Emiliano Giancristofaro (“Cara moglia” lettere a casa di emigranti abruzzesi. Introduzione di Eide Spedicato Iengo. Rocco Carabba Editore).
L’emigrazione trattata da Pupillo (e da Giancristofaro) possiede elementi tipici, simbolici, inamovibili: l’epoca va bene per qualche decennio fa e purtroppo anche per oggi; i poli di un’ Italia” da dove” si emigra e, in questo caso, di un Belgio “dove” si emigra; il luogo di partenza di un Abruzzo ravvisabile verosimilmente come sud e per simbiosi perfida in un paese piccolo, agricolo; l’illetteratura a livello d’analfabetismo di chi non può intuire destini diversi dal finire surrettiziamente prigioniero rassegnato a scavare carbone nero in miniera buia a mille metri sotto.
Le scuole serali o private per gli emigranti sono insidie agli affetti tradizionali, ma tuttavia aiutano, attraverso lettere sgangherate e di scontato contenuto, a non spezzare il filo sfilacciato, con uno dei due capi al paese d’origine, donde i familiari s’ingegnano a rispondere con simmetrica umile scritturazione. In chiave sociale resta una morale di fondo e di soggezione: è scontato che gli emigranti distinguano le avventure amorose dai sentimenti sani per la famiglia, rimediando la domenica a messa con un confessore bonario; è scontato che nel paese il potente non rinunci al suo preteso “diritto” di dominare chi ha bisogno della sua bieca ” beneficenza”; è forse scontato che un’ombra d’idea finale di morte, emigrazione che ci riguarda tutti, si concluda al meglio, con un’ultima lettera alla “moglia” che trascende in ritornata serenità, sperando evidentemente che la vita volga comunque al meglio. In fondo, scriveva d’Annunzio, ” il tesoro dei poveri è l’illusione”.
Sul suo profili social la professoressa Lia Giancristofaro, figlia del compianto Emiliano, scrive : “Nel 1983 papà pubblicava questo libro per dare voce alle mille storie di emigrazione che si consumavano nel silenzio delle istituzioni: prima tra tutte, la tragedia di Marcinelle”.